LA PRIMA VOLTA IN CLASSE

La prima volta che sono entrata in classe non è stato in veste di docente, ma come tecnico di fotografia. Non avevo la minima idea di che cosa significasse; la segreteria mi aveva anticipato che non dovevo preoccuparmi: non ero un docente! Mi sarei dovuta presentare a scuola il giorno seguente, ore 8, laboratorio di fotografia.

Era il 5 dicembre, ad anno scolastico inoltrato. Io avevo 25 anni, nessuna esperienza e improvvisamente mi trovai catapultata in una V^ superiore.

Una grande confusione regnava nell’aula, ma appena il docente entrò in classe tutti si sedettero al loro posto, mentre io rimasi ovviamente in piedi. Il professore mi squadrò con sufficienza, e poi esordì con un ”..torna nella tua classe!”. Stavo per presentarmi, ma questi, alzando fermamente la voce, mi rinnovò l’invito. Ero veramente imbarazzata, mi feci coraggio e mi presentai.

Il professore mi indicò la camera oscura: “Camera oscura, si, … bene, ma cosa dovevo fare?” Non lo avessi mai detto davanti alla classe! Sorvolo sugli ovvi commenti, mentre il docente mi illustrava brevemente il numero degli ingranditori, le carte, le ottiche, le taniche dei chimici e, visto che era arrivato il tecnico (io!), mi mandò in camera oscura con dieci alunni che avevano del lavoro da stampare, alunni che lì dentro erano a loro agio e si muovevano con grande sicurezza.

Ero spiazzata, stavo scoprendo che il mio ruolo era ben diverso da quanto figurava sulla carta: ovvero c’era bisogno di una persona competente che affiancasse i ragazzi nelle loro attività tecniche dentro i vari laboratori di fotografia (in camera oscura, in sala posa, nelle uscite didattiche), gestendo e facendo la manutenzione delle apparecchiature tecniche con grande perizia e cognizione.

Ma l’aspetto più grave di questa situazione era stato quello che io avevo perso credibilità agli occhi di quella classe, e non valsero un intero anno scolastico e tutti i miei sforzi a recuperare quella tragica e involontaria presentazione.

Procedendo, in tal senso, per tentativi, cercai di diventare amica e confidente di molti ragazzi, ma anche lì sbagliai e i risultati didattici furono disastrosi. Costoro non mi riconoscevano alcuna autorità e il fallimento, alla fine del primo anno, fu conclamato: mancanza di autorità nei confronti delle classi, mia impreparazione, troppo coinvolgimento nelle questioni private degli allievi, non credibilità della mia figura di docente ed esperta della disciplina.

L’anno seguente, però, feci tesoro dei miei errori: imparai l’autorevolezza alternata al sapiente uso dell’ascolto, imparai l’importanza di andare sempre in classe preparata, imparai che era assai rischioso improvvisare le lezioni, quindi, di conseguenza, valutai l’importanza di pianificarle con cura.

Appresi anche il valore della correttezza e della sincerità nei confronti degli alunni, la lealtà che passava attraverso il rispetto delle scadenze concordate e degli accordi presi, e soprattutto l’ammissione, in talune circostanze, della non conoscenza di un determinato argomento.

Il tutto avendo ben presente che avevo a che fare con degli adolescenti, con un “materiale sociale” in crescita e continuo mutamento, e che, quindi, io ero tenuta a considerare in modo significativo il mondo e l’età che li caratterizzava.

Con il tempo e con l’esperienza, come in ogni lavoro, i metodi e le tecniche si affinano e il compito si semplifica. Per me, che insegno italiano e storia in un I.T.I.S., è ora immediato individuare il leader di una classe e intuire le dinamiche che vi sono all’interno e, in base a ciò, pormi in modo diverso.

Dal momento in cui ho imparato a relazionarmi nel modo corretto con gli alunni, il mio lavoro mi ha restituito grandi soddisfazioni e so che, la fatica e l’impegno a cui quotidianamente vengo chiamata hanno l’effetto di un boomerang che, ritornando indietro, ti coinvolgono e ti travolgono in termini di affetto ed empatia.

Sono grata ai ragazzi che in questi anni ho conosciuto, perché non poche volte mi hanno dato l’opportunità di mettermi in discussione, mi hanno obbligato, mio malgrado, a rivedere o consolidare atteggiamenti o idee personali, mi hanno permesso di continuare ad arricchirmi come persona prima ancora che come insegnante.